Sono la dott.ssa Enrica Luppi e per introdurvi al mio modulo, quello di ARTE,  vi propongo un  particolare viaggio immaginario, fatto di 5 LUOGHI – 5 STORIE – 5 IMMAGINI: queste saranno l’occasione, di riflessioni, apparentemente distanti e diversificate tra loro, tuttavia connesse in una logica associativa, dal sottile filo rosso del rapporto tra arte e cura.

Un breve viaggio nei principi fondanti dell’ARTETERAPIA, connotata – in senso lato – come un approccio comunicativo che fa uso delle immagini e dell’immaginario  per facilitare nel paziente l’espressione e l’elaborazione del proprio mondo interno, all’interno del rapporto terapeutico. 

Prima Tappa: LA VOSTRA STORIA PERSONALE

La prima immagine è relativa ad una delle ultime sedute di un percorso di art-therapy con una paziente di 9 anni, che è stata seguita in sedute settimanali di arte terapia individuale per 4 mesi in seguito ad una grave patologia che l’ha costretta ad un periodo di ospedalizzazione.

 

Lo strumento utilizzato in questo incontro è la tecnica dell’Acrilico.

Titolo: La crescita prodigiosa

 

Da bambini, vi sarete divertiti a disegnare con gessetti, matite, a fare collage. Da adulti probabilmente non vi sarete sentiti dei grandi creativi o dotati di talento artistico spiccato, ma avrete appreso qualche effetto terapeutico dell’arte nella vita quotidiana: dipingere o fare fotografie per hobby, fare schizzi su un taccuino ecc.

I più converranno che la grande arte, quella di artisti celebri di ogni campo e corrente è sicuramente portatrice di messaggi e di significati, riesce a far condividere emozioni fertili ad un pubblico sensibile e recettivo.

Un fenomeno similare lo possiamo leggere in ognuno di noi, anche se artisti con la A maiuscola non siamo, nel momento in cui mettiamo in comunicazione il nostro mondo interiore con il mondo esterno. Spesso non ce ne rendiamo conto e sottovalutiamo tale momento, eppure è un istante prezioso in cui la nostra creatività dà vita a un qualche cosa che parla per noi in un modo unico e solo nostro; l’immagine interna con l’azione creatrice diventa immagine esterna, visibile, si espone per essere condivisa, per comunicare una nostra intuizione, un colpo d’ala nell’affrontare un problema, una maniera speciale di fare, dire, o percepire la realtà.

Seconda Tappa: nella STORIA di un POPOLO antico

La seconda immagine è relativa ad un percorso di art-therapy di gruppo, in 5 tappe, a cadenza settimanale, sul tema della PERDITA. I VIAGGIATORI-ESPLORATORI: un piccolo gruppo di 6 bambini di età tra i 9-10 anni, tutti miei pazienti da tempo e accomunati da gravi vissuti di lutto, malattia e perdita.

 

Gli strumenti utilizzati: ACRILICO, COLLAGE, DISEGNO a MATITA E PENNARELLI.

Titolo: L’Isola dove qualcosa NON C’E’.

 

Divertire gli dèi: questa è, secondo un noto studio antropologico, la funzione dei cosiddetti giochi rituali nella cultura dei Nativi d'America. Si tratta di giochi, in senso stretto, d'azzardo e destrezza, tramite pedine o dadi, e di creazione, tramite manipolazione e assemblaggi di materiali naturali, terre e pigmenti, all'interno di un contesto religioso tra mito e sacro. 
Dovendo "divertire" ed "addomesticare" tali particolari dei che – nel corso di questi giochi rituali – pendevano sembianze personificate – gli abitanti della tribù imparavano a rendere i propri problemi materia plasmabile, "compagni" da alleggerire e governare. Per fare questo bisognava perdersi a metà tra sogno e realtà, l'inventare e il capire, tra il sentire e il pensare. Bisognava appunto giocare. Esiste anche per noi un modo profondo per divertire i nostri dèi interni: attraverso la mediazione espressiva. Attraverso il dipingere, il modellare, il suonare, il muoverci col corpo. Questo ci permette di entrare in una dimensione onirica, vivendola da svegli, quindi restando coscienti ed assumendone coscienza.
Riusciremo, perciò, a divertire i ‘nostri dèi’ se giocheremo da svegli e con l'aiuto di un altro; se sogneremo mondi in cui un colore, un disegno, un sasso o una qualunque altra forma o oggetto diventano immagini e storie che raccontano e rivelano di noi agli altri e a noi stessi.

Terza Tappa: nella STANZA DELLA CURA.

La terza immagine è stata prodotta da una paziente di 26 anni, che ha iniziato – da alcuni mesi – un percorso di art-therapy individuale con sedute settimanali.

 

Lo strumento utilizzato in questo incontro è il Collage

Titolo: Andando

 

Con l’utilizzo delle metafore, quindi di una comunicazione che potremo definire indiretta, il paziente riesce a condividere anche quello che nella comunicazione verbale diretta non riesce ad esprimere. L’arte terapia, va un passo più in là perché la comunicazione non è solo indiretta, ma anche esterna.

L’immagine/il prodotto artistico diviene un partner silenzioso del terapeuta in un rapporto che si fa a TRE. Si crea, pertanto, un CAMPO RELAZIONALE insolito rispetto a quello tradizionale.

L’immagine mentale, una volta esternalizzata, diventa – poi – un prodotto nello spazio, un’entità quasi personale, che riceve, risponde, contiene e trasforma. (originando, a sua volta, nuove immagini interne).

L’esternalità implica, inoltre, un uso dello spazio e del tempo diversi dall’interazione verbale. Quindi abbiamo un processo terapeutico specifico, con delle necessità temporali e spaziali che mettono la persona in contatto con tutti gli aspetti dell’esperienza: frustrazioni, parzialità, limiti esecutivi, l’imprevisto, l’errore, il piacere.

L'immagine acquisisce, in tal modo, caratteristiche transazionali e, in questo senso, ciò che viene creato non è mai solo traduzione di un pensiero astratto o rappresentazione, ma è espressione di un vissuto, di una storia e di una cultura.

È come ‘una finestra aperta sull’inconscio’ che è possibile vedere, osservare, in quanto lascia, a testimonianza delle dinamiche relazionali, un segno, un disegno, un comportamento, nei quali sono individuabili le tematiche e i conflitti che lo animano.

LA quarta Tappa : nell’ATELIER di UN ARTISTA

La quarta immagine è relativa al lavoro fatto durante un incontro di art-therapy di gruppo da 9 pazienti di un centro diurno psichiatrico del basso mantovano che hanno seguito un percorso semi-strutturato della durata di 9 mesi con cadenza settimanale.

 

Lo strumento utilizzato in questo incontro sono stati il Collage d’immagini e parole

Titolo: La nostra Tavola imbandita (o ‘bandita?’).

 

Nella tradizione giudaico-cristiana, nel libro della Genesi, Dio è ritratto mentre crea e poi vede, quindi riflette su ciò che vede. “Dio disse sia la luce. E luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.”

Come un pittore/artista nel suo Atelier,  Dio è ritratto come colui che crea e insieme vede e riflette sulla creazione.

La creazione del mondo nel racconto biblico è offerta come paradigma di ogni PROCESSO CREATIVO. In arte terapia si debbono creare i presupposti, affinché da una ESPRESSIONE si approdi ad una COMUNICAZIONE (relazionale ed intrapsichica).

Etimologicamente 'esprimere' indica l'emergere di qualcosa da un 'dentro' a un 'fuori'. Ma il soggetto può essere cosciente delle proprie 'espressioni', pur senza avere la minima coscienza del conflitto o significato sottostante. I vissuti profondi, pur rimanendo lontani dall’essere consapevoli, si esprimono infatti nell’atto creativo stesso trovando un alternativa al sintomo e quindi un proprio campo di rielaborazione.

La comunicazione (dal latino: cum insieme e munis ufficio = mettere in comune)
deve divenire la meta dell’uso dell’arte in terapia: essa necessita di un percorso terapeutico prima che appaia un Io forte che possa agire da tramite, da decodificatore del significato implicito contenuto nelle immagini. Per molto tempo il paziente non ha coscienza dei contenuti intimi espressi, che restano ignoti nonostante gli appartengano. Bisognerà attendere, come terapeuti, l'epoca della "com-municazione" da parte del paziente con l'altro e con se stesso.

Quinta Tappa: il capitolo della mia STORIA

La quinta immagine è un mio lavoro fatto nel 2012

 

La tecnica utilizzata: pasta di gesso e acrilici su legno

Titolo: La Terra (di nuovo) Madre

 

Nel corso di tutta la mia infanzia ho sempre giocato intere giornate, intere estati, nelle campagne in provincia di Modena. Sempre con una banda di scatenati soli maschi. Ma io ero ammessa e rispettata nel gruppo perché sapevo proporre giochi molto creativi e divertenti. Tra questi, quello di guardare il grandioso spettacolo delle nuvole in cielo.

Inondavamo con la nostra immaginazione quelle nuvole che prendevano sembianze di cavalli, eroi, mostri e draghi, dando vita a storie bellissime che ci raccontavamo con grande passione.

Quel gioco speciale, ancora non sapevo, sarebbe stato il seme importante e vitale di un modo di leggere la realtà, di una formazione prima e di un metodo di lavoro, poi.

In questi anni, ormai quasi una ventina da arte terapeuta, le storie dei miei pazienti, i loro lavori artistici sfilano davanti a me come in una galleria personale. Nel rapporto con loro ho dato un po’ di me. E un po’ di me, inevitabilmente, si è modificato insieme a loro. Perché nessuno può incontrare qualcuno senza cambiare un po’. Sono stati e sono tuttora loro i miei più grandi maestri, le mie più attendibili ‘linee guida’. Così nel tempo si è costruita un’arte. Meglio, un artigianato della cura.
Da sempre considero la Persona del Paziente come un romanzo, come un ‘opera d’arte. Non ho mai considerato mio compito dirigere, interpretare, chiarire. Ma ascoltare, fornire dubbi e non certezze, aiutando l’altro ad impugnare – da solo – pennelli o penna, insieme a carta, inchiostro, tele, colori per proseguire nella propria scrittura, nella propria creazione. Rendendola più comprensibile a sé, più funzionale e sempre più UNICA e SPECIALE.

 

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