La difficoltà a sperimentare la penetrazione vaginale – e di conseguenza l’impossibilità di partecipare a un rapporto sessuale penetrativo – sembrerebbe essere una condizione molto antica. Se ne parla già negli scritti medievali di Trotula De Ruggiero, da molti considerata la prima ginecologa della Storia.

Trotula De Ruggiero aveva notato come buona parte delle donne che si rivolgevano a lei perché non riuscivano a procreare, al momento dell’esplorazione dei genitali, presentavano una forte contrazione della muscolatura pelvica.

Alcuni secoli dopo, Jacques Lisfranc, un medico francese dei primi del ‘900, dedica un intero capito del suo manuale di ginecologia a spiegare come una particolare ipersensibilità degli organi sessuali femminili avesse ripercussioni non solo sulla fertilità ma anche sulla salute psichica e relazionale delle donne.

Il vaginismo oggi

Secondo la descrizione diagnostica che ne fa il DSM 5, il vaginismo, ridefinito come “Disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione”, consiste in una serie di difficoltà persistente e ricorrenti nella penetrazione vaginale sia nell’ambito di un rapporto sessuale che di un controllo ginecologico.

A caratterizzare il disturbo sono soprattutto la paura e l’ansia, che tendono a presentarsi prima, durante o dopo il rapporto, e che si riflettono a livello corporeo con una forte contrazione della muscolatura pelvica.

Non abbiamo dati precisi sulla prevalenza del disturbo ma si stima che possa soffrirne il 2% delle donne in età post-puberale.

Come si sviluppa il vaginismo? Quali sono le cause?

Possiamo distinguere diversi fattori che possono concorrere all’eziologia del disturbo.

Tra i fattori predisponenti si riconoscono:

  • un’educazione sessuale inadeguata che alimenta falsi miti e false credenze;
  • un’educazione morale e religiosa restrittiva che svalorizza quando non colpevolizza la sessualità;
  • modello di coppia genitoriale con relazioni problematiche e deteriorate;
  • vissuto traumatico
  • aspettative inadeguate relativamente alla sessualità.

Possono essere fattori precipitanti:

  • eventuali patologie organiche concomitanti;
  • ansia da prestazione;
  • circostanze avverse negli altri ambiti di vita;
  • crisi personali e/o nella coppia.

La donna con vaginismo generalmente ha una normale funzionalità sessuale ma è incastrata in un circolo vizioso. La paura del dolore fa sì che il corpo si metta in allarme, la postura si irrigidisce e aumenta la contrazione pelvica. Queste condizioni bloccano la tensione sessuale e di conseguenza si interrompe l’eccitazione e la lubrificazione. La rigidità muscolare, la mancanza di lubrificazione e la scarsa eccitazione rendono dolorosa e difficoltosa la penetrazione.

L’esperienza negativa di angoscia e dolore, se ripetuta nel tempo, tende a generare sentimenti di sfiducia, autosvalutazione e caduta del desiderio con conseguente evitamento dei rapporti.

Evitare il problema, far finta che non esista o che sia impossibile da risolvere è la strada che prende un numero non indifferente di donne (e coppie) con vaginismo, finendo nei cosiddetti “matrimoni bianchi”.

Che cos’è che ostacola la risoluzione del disturbo e cosa potrebbe favorirne una presa in carico non tardiva?

La possibilità di risolvere la problematica è ostacolata da diversi fattori. Tra questi:

  • Scarsa informazione e consapevolezza del problema da parte delle donne e dei loro partner;
  • Sentimenti di vergogna e autosvalutazione;
  • Scarsa conoscenza del problema da parte dei sanitari.

Se negli ultimi anni sta crescendo l’attenzione sul disturbo e se ne parla sempre di più sui social, non è ancora soddisfacente il grado di conoscenza della problematica da parte di medici di famiglia, ginecologi e psicologi.

Questo ultimo punto ci sembra essere particolarmente allarmante e richiama alla necessità di fornire ai sanitari una conoscenza di base della problematica in modo che sappiano riconoscere le richieste di aiuto e inviare ad uno specialista psicosessuologo.

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