Tanto tempo fa, un certo dr J.B. Watson, che molti conoscono come “il padre del comportamentismo”, disse “Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione e un ambiente organizzato secondo miei specifici principi, vi garantisco che sarò in grado di farne un medico, un avvocato, un artista, un imprenditore, un delinquente”. Una frase decisamente provocatoria e, passatemi il termine, un po’ saccente, ma che racchiude il pensiero di un intero filone di teorie psicologiche e non.
Intanto, i teorici dell’evoluzionismo e i genetici, rabbrividendo all’idea di un bambino che nasce come una “tabula rasa” ovvero come un contenitore vuoto pronto a ricevere dall’ambiente esterno i suoi contenuti in modo così perentoriamente passivo, dimostrarono che vi è, nel patrimonio genetico del bambino, una solida base immodificabile da cui prende avvio il suo temperamento, unico e inimitabile. In parole povere, i seguaci di Darwin e di Mendel provarono che l’essere umano è, sì condizionabile dall’ambiente esterno, ma non del tutto, per buona pace del Dr Watson!
A questo punto ogni genitore potrà testimoniare che fin dai primissimi giorni il proprio bambino ha dato ampio sfoggio del proprio temperamento: piangendo molto, o essendo particolarmente socievole o ostinato o coccolone. Questa è la base da cui si sviluppa poi tutto il resto, è la base dell’uomo e della donna che quel frugoletto diventerà.
Ma non basta. Riprendendo il buon vecchio Watson, che tutti i torti, in fin dei conti, non ce li aveva, l’ambiente esterno è importante e i genitori hanno il gravoso e meraviglioso compito di educare il bambino alla serenità! Questo non lo dice Watson, ma lo dicono altri psicologi come Winnicott, Bettelheim, e altri psicologi in letteratura e, sì, anche io!
Che bel pensiero e che belle parole, educare alla serenità! Sì, ma cosa significa? Provo a spiegarmi meglio.
Secondo il sommo maestro, colui che la mia professoressa di psicologia dinamica chiamava affettuosamente “papà-Freud”, educare alla serenità voleva dire mettere il bambino in grado di “amare e lavorare”, ovvero di trarre la massima soddisfazione dalla sfera privata e da quella pubblica: amare ed essere amati qualsiasi marachella si commetta, ed imparare ad essere utili nella società, ricavandone motivo di orgoglio e senso di appartenenza.
Ma non volendo scomodare personaggi così altisonanti, vi dirò che idea me ne sono fatta io: educare i figli alla serenità vuol dire avere bene in mente che ciò che noi facciamo, nel bene e nel male, nei confronti nel nostro bambino, unita al temperamento caratteristico di nostro figlio, influenza tantissimo la sua personalità futura. Quella carezza in più, quel rimediare a un errore commesso, quel chiedere scusa, quel particolare modo di entrare in comunicazione, quella sgridata o punizione…sono tutti fattori importanti, esperienze fondamentali che andranno a costituire la memoria inconscia del bambino e che lo guiderà in futuro.
Educare alla serenità vuol dire anche resistere all’impulso di cercare di costruire il figlio che il genitore vorrebbe, e dare a lui la possibilità di esprimersi e di svilupparsi appieno in base ai suoi ritmi, alla sua personalità e potenzialità. Questo è il miglior regalo che si possa fare per il proprio figlio! Ma per i genitori, sarà un’impresa molto ardua, soprattutto quando i tempi del proprio pargolo sono più lenti rispetto alla media, o rispetto alle proprie aspettative. Ma chiunque si trovi nella condizione di poter influenzare un bambino, siano essi genitori o altri educatori, come parenti e insegnanti, dovrebbero sforzarsi di offrirgli una visione positiva si sé e del suo mondo. Ciò non significa ingannarlo o proteggerlo eccessivamente da esperienze negative, ma dandogli gli strumenti per affrontarlo questo nostro mondo, con le sue insidie e le sue meraviglie.
Per esempio, facendolo vincere ma qualche volta permettendogli di assaporare il sapore della sconfitta, con voi accanto pronti a consolarlo e a spronarlo a riprovarci. Facendogli capire il valore prezioso delle cose, ma senza rigidità, permettendogli di capire che qualche volta uno strappo alla regola è cosa buona e giusta. Insegnandogli a chiedere e a rispettare l’altro, mostrando in prima persona come si fa: vedere il proprio padre che si alza per fare posto a una persona anziana sul treno, per esempio, è un insegnamento di umiltà e rispetto che rimarrà impresso nella sua mente, molto meglio di tante parole. Insegnargli con l’esempio a gestire un conflitto senza far leva in modo ricattatorio sui sentimenti. Insegnargli che essere arrabbiati non vuol dire perdere l’amore per l’altro,…
Ci vuole pazienza, ci vuole fantasia, ci vogliono errori…perché “allevare i figli è un’impresa creativa, un’arte più che una scienza”*
Psicologo
*cit- B. Bettelheim, Un genitore quasi perfetto