Freud fu uno dei primi a parlare, o a mettere il giusto accento, sull’inconscio e sul suo particolare linguaggio.

Sigmund Freud - finalCerto che a pensarci bene, sembra davvero strano, anche solo pensare, che l’inconscio abbia un ‘linguaggio’: come è possibile trasformare in parola, fonema dopo fonema, dei pensieri di cui non siamo neanche consapevoli? Papà Freud ci insegnò, con grande maestria, che l’unico modo per affrontare una simile sfida era quello di usare le momentanee sviste da parte del nostro controllo interiore, che permettevano a dei pensieri inconsci di concretizzarsi attraverso i sogni, i lapsus, le associazioni libere, e così via. Eccolo il famoso linguaggio dell’inconscio, uno dei ‘super poteri’ della teoria freudiana, che ha permesso alla psicoanalisi di diffondersi in maniera così repentina e radicale.

 

Ma se è possibile ‘tirare fuori’ e tradurre i pensieri dal nostro inconscio per portarli al livello di consapevolezza per, poi, accettarli o elaborarli, non potrebbe essere possibile anche il percorso al contrario? Mi spiego meglio: perché limitarsi a usare questo metodo ‘solo’ per tradurre i pensieri nel nostro linguaggio comune? Perché limitarsi a lavorare dal ‘di fuori’ dell’inconscio? Se è vero che l’inconscio può comunicare con noi attraverso determinati linguaggi a noi comprensibili, allora potremmo anche noi parlare direttamente con lui.

Le interpretazioni psicoanalitiche e il linguaggio che in generale psicologi e psicoterapeuti usano, è il linguaggio della consapevolezza, con le sue regole grammaticali e il suo lessico. Un linguaggio che è difficilmente comprensibile per il nostro inconscio e per quello dei nostri pazienti. Spendiamo parole su parole che, però, spesso vediamo che non portano facilmente a un cambiamento. E’ come se l’inconscio parlasse con noi in italiano e noi gli rispondessimo in ostrogoto. È una comunicazione a senso unico, che non potrà funzionare bene se non con molta fatica e tanti tentativi. Quindi, se volessimo davvero farci una bella chiacchierata con l’inconscio, trafiggendo con le nostre parole la sfera conscia dei nostri pazienti e arrivando al ‘core’, cioè dove davvero si è in grado di modificare il comportamento, dovremmo imparare a usare questo misterioso e affascinante linguaggio.

Come? Prima di tutto capendo che ciò che noi vediamo, ciò a cui noi reagiamo, è tutto mediato dal nostro downloadpensiero. Niente di ciò che esperiamo è reale e oggettivo: tutto è filtrato da noi, dalle nostre aspettative e dai nostri preconcetti. Perciò ciò che vediamo, sentiamo e viviamo passa, per forza, attraverso l’inconscio, da cui viene, poi, distorto ad hoc, secondo le nostre personalissime aspettative e, successivamente, offerto alla nostra consapevolezza. Per la serie: il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? In realtà il bicchiere è riempito a metà, poi la nostra percezione ‘distorta’ deciderà se prediligere verso un versante o verso l’altro. Stesso avvenimento, due interpretazioni possibili.

Una volta appurato questo primo passaggio, dedichiamoci a comprendere il concetto di ‘gestalt’: quella che noi osserviamo è una visione d’insieme della realtà, una rapida occhiata più che sufficiente per attivare il nostro personale modo di interpretare ciò che esperiamo. Noi, grazie al cielo, agiamo costantemente senza badare agli aspetti specifici che incontriamo: vi immaginate dover elaborare ogni volta ogni singolo dettaglio della nostra esperienza sensoriale? Sarebbe davvero un’impresa anche solo compiere un passo! Ma la natura, o chi per essa, ci ha risparmiato questa incommensurabile fatica, rendendoci capaci di percepire le cose nel loro insieme. E lo ha fatto relegando questa capacità al nostro cervello, in particolare al nostro emisfero destro, quello ‘divertente’, deputato all’orientamento e a cogliere l’aspetto generale delle cose, contrapposto al sinistro, più razionale e specifico. Ma ecco che l’inconscio torna a metterci lo zampino: è come se parlasse direttamente al nostro emisfero destro, distorcendo l’immagine generale che egli percepisce. Questa distorsione dipende da tutto quell’insieme di esperienze passate che si sono organizzate nel tempo in quello che viene chiamato ‘modello’, risultato di incessanti decisioni. Perciò con il nostro emisfero destro cogliamo ‘l’esperienza del mondo’ racchiudendola in un’immagine, distorta ad hoc in base al contenuto del nostro inconscio.

customEcco, quindi, quale è il nostro lasciapassare per l’inconscio: è l’emisfero destro. Colui che comunica tra la nostra consapevolezza e il nostro inconscio. Ora non ci resta che usare il linguaggio di questo emisfero per arrivare a ritroso all’inconscio, e questo linguaggio lo conosciamo bene, perché lo usiamo quotidianamente, senza neanche accorgercene. E’ un linguaggio arcaico e non sviluppato a cui mancano quasi tutti gli elementi di sintassi, grammatica e semantica, (tipiche del ‘perfettino’ emisfero sinistro). Un linguaggio i cui concetti sono ambigui, condensati in un intricato gioco di parole e freddure. Un linguaggio musicale, che procede secondo la logia della ‘pars pro toto’ (una parte per il tutto). Di cosa sto parlando? Ma dei giochi di parola, dell’umorismo, delle rime, delle battute, delle freddure, delle condensazioni, delle allitterazioni, degli aforismi, dei chiasmi, dei doppi sensi, dei sottointesi… tutte formule che usiamo praticamente ogni giorno.

Ma attenzione, non fraintendetemi: non sto dicendo che per istigare il cambiamento di un comportamentopsicologo dobbiamo parlare come dei buffoni e solo per frasi fatte. Dico solo che ad utilizzare certe strategie, che prevedono la sapiente calibrazione di queste tecniche, potrebbe essere utile e potrebbe dare quel giusto ‘quid’ in più che serve per produrre un risultato concreto. Vi sono molte tecniche, spiegate per lo più dal famoso pioniere del linguaggio del cambiamento, Paul Watzlawick, che, a fronte di un cognome impronunciabile, ha insegnato e catalogato numerosi stratagemmi per parlare direttamente con l’inconscio. Non è questa la sede per spiegarli e mi limiterò a quanto detto. Ciò che mi premeva passarvi con questo articolo è l’idea che qualche trucchetto linguistico, quando si è seduti nella poltrona dello psicologo o dello psicoterapeuta, non è un crimine, anzi, se usati bene e con la giusta parsimonia, potrebbero rivelarsi davvero un elemento decisivo in grado di modificare la situazione esistente.

 

Fateci un pensierino.

 

Laura Corpaccini

Psicologa